Il lavoro non c'è più, evviva il lavoro

Tarantino come tanti è un regista: un regista
non deve salvare il mondo, ma creare uno spettacolo di fiction abbastanza
decente da lasciare qualcosa nell’animo di chi lo vede, positivo o negativo che
sia. Sempre di finzione si parla, nessuno può avere la pretesa che il cinema né
la tv siano pedagogiche.
Del resto però la maggior
parte degli spettatori pretendono esattamente quello da un mezzo di
comunicazione. Vogliono essere instradati, vogliono essere illusi, informati e
coccolati come una vecchia cariatide in un beauty center.

Può esserlo per chi non
vuole alzare gli occhi e vedere una cosa ovvia come il sole al mattino,
sperando ancora di avere una vita gestita da qualcun altro.
Non è più così, purtroppo o
per fortuna.
Non c’è più la certezza del
lavoro appena finite le scuole dell’obbligo e fino al compimento dei 65 anni,
dato che l’automazione ha reso inutile lo sforzo fisico sostituendolo quasi del
tutto con le macchine. I posti di lavoro persi sono scomparsi, non tornano
indietro. Guardo una cassiera al supermercato e penso: per quale motivo stai lì
a fare una cosa che una macchina al posto tuo farebbe molto meglio e senza
sforzi? Il casellante in autostrada ha ancora senso di esistere? E così decine
e decine di altri esempi.
non c’è più la maestra che
faceva un po’ da secondo genitore, scomparsa virtualmente in quanto ha perso
completamente l’autorevolezza per colpa dei genitori stessi, che molto spesso
difendono i figli a oltranza come se avessero concepito il secondo Messia dopo
Gesù Cristo;
Non ci sarà più la televisione a fare da educatore virtuale alle persone,
scandendo con i suoi ritmi la giornata di grandi e piccoli. Si mangia alle
13,00 dopo il tg (perché dopo una scorpacciata di delitti passionali e
di tette e culi lo stomaco si apre dal disgusto), si guarda un film solo dopo
cena perché è bello se è in prima serata e si fa l’amore solo quando gli ultimi programmi chiudono il palinsesto, per poter sfogare su quella poveretta che ci si
ritrova sotto le lenzuola tutti i drammi e i sensi di nausea assorbiti durante
la giornata.
È esattamente questo un
palinsesto: un biberon per poppanti un po’ troppo cresciuti, che sparirà
inevitabilmente nel giro di un paio di generazioni, che lo si voglia o no.
Internet e i social sono lo
specchio fedele del cambiamento.
Non c’è più una regola
precisa. Lo spettatore usufruisce di qualcosa quando il desiderio lo richiede,
scrive e pubblica qualsiasi cazzata quando gli passa per la testa senza
aspettare la fine del telegiornale.
Una sorta di
autodeterminazione in tutto quello che fa: non c’è più nessuno che gli dice
cosa debba fare e quando. Perché questo non deve valere anche inevitabilmente
per il lavoro?
Il concetto del lavoro è
vecchio ormai di cinquant’anni.
Lavoro sicuro, pane sicuro,
vecchiaia garantita e mutuo a tasso fisso. Tempi andati. Non c’è più nessuna
certezza e questo se da un lato spaventa, dall’altro fa capire senza ombra di
dubbio chi ha talento per andare avanti e chi passa la vita a piangere.
Tempo fa mi è capitato di
vedere un’intervista a una serie di cittadini ai quali si chiedeva un giudizio
sul governo. La maggior parte di loro facendo spallucce rispondeva: non ha
fatto nulla! Dov’è il lavoro? Guardando l’intervistatore con lo sguardo di chi
è appena stato derubato di qualcosa che pensava fosse suo.
Il giornalista, dal canto
suo, dava la classica pacca sulla spalla consolatrice e creatrice di alibi:
“Non ti preoccupare. Non è colpa tua, è il sistema che è marcio, è il governo
che è ladro, sono i politici che rubano, è Jodie Foster che mi ha obbligato”.
Un vero giornalista avrebbe
risposto l’unica cosa logica: “Ciccio, ti sei accorto che il mondo è andato
avanti in questi anni, o l’unica cosa che sei stato capace di fare è andare in
piazza ad urlare contro i fantasmi?”
In questa fase della storia
è lapalissiano il fatto che nessuno debba nulla a nessuno e le cose non si
cambiano davvero fino a quando non ci si toglie dalla testa questo piccolo
particolare.
Una delle tante cose che ho
imparato viaggiando è proprio il fatto che nessuno ci debba nulla per diritto
acquisito, ma il più delle volte l’aiuto si trova a ogni angolo di strada: una
contraddizione? Tutt’altro. C’è un’enorme differenza tra alzare il braccio e
chiedere onestamente aiuto (e ricambiarlo in qualche modo) e pretendere che
qualcuno ci debba qualcosa.
Infatti la differenza tra
chi ottiene le cose e chi non le ottiene è tutta lì.
Il concetto è sottile. Più
semplice di quello che sembra.
Non c’è più la certezza di
ottenere le cose, ma ci sono migliaia di modi in più per farlo.
Le crisi storiche hanno
sempre fatto inevitabilmente selezioni naturali e anche questa non fa
eccezione, scremando coloro che hanno l’attitudine o la voglia e gli attributi
per reinventarsi e quindi sopravvivono agevolmente e chi insegue un mondo che
non c’è più.
Cosa fare quindi?
Abbiamo delle grandi
possibilità al giorno d’oggi con la stessa tecnologia che ci ha tolto il lavoro
sicuro a vita: sfruttandola per inventare noi il nostro lavoro a nostra
immagine e somiglianza.
Stimolare l’ingegno.
Questo significa che chi è
abituato a fare il sindacalista, pretendendo che lo Stato gli dia qualcosa
quando lui è il primo che lo Stato non lo rispetta neppure facendo la raccolta differenziata,
finirà inevitabilmente schiacciato dal
cambiare dei tempi.
L’uomo può essere libero
davvero dalla schiavitù del lavoro, come dice il buon Silvano Agosti, ma per
farlo deve fare una cosa che fino a cinquant’anni fa non era assolutamente
obbligatoria:
aguzzare l’ingegno,
sviluppare la creatività che prima pensava fosse territorio esclusivo per geni
e artisti. Non è più così.
Di sicuro non può continuare
a inaugurare il 200esimo bar in centro e poi chiuderlo dopo sei mesi
lamentandosi del fatto che lo Stato lo massacri di tasse. C’è anche chi ha la
passione per il bar e il ristorante e merita tutto il rispetto, ma se ha
qualche soldo da investire, con un po’ di cervello, può farlo dove il periodo
storico è favorevole, non certo in un Paese cosiddetto criminale che raccoglie
tasse come gli strozzini fanno con il pizzo. Se il massimo dell’ingegno nel
2015 è aprire l’ennesimo bar e l’ennesimo ristorante nello stesso Paese per
poter dire “Io ci ho provato almeno, non ho fatto come te che sei scappato in
Ecuador”, i casi sono due: o il cervello è assente o non è mai stato acceso. E
allora piuttosto che se ne vada negli Stati Uniti a fare il cameriere da Joe’s
Pizza, a vivere di mance e basare il suo stipendio su una regola assurda che
obbliga a dare una mancia obbligatoria per il servizio, a meno che non si
imbatta in Mr. Pink de Le Iene al tavolo (per finire con Tarantino come ho
cominciato) che fa una filippica sul fatto che la mancia sia ingiusta.
In quel
caso morirebbe pure di fame e forse finalmente aguzzerebbe l’ingegno.
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