MESSICO, ritrovarsi a casa a Chilangoland

Quella volta il mio insegnante di inglese, in una delle domande del compito in classe, ci chiedeva la nostra provenienza, senz'altro più preoccupato dall'ortografia che dalla risposta, che dava per scontato potesse essere solo una.
Nonostante la mia carta d'identità parlasse chiaro e non avessi avuto origini centro americane (le mie origini greco-turche-palestinesi sarebbero venute fuori più tardi) risposi che provenivo dal Messico (lo giuro sui miei figli come direbbe Silvio e su Linda Evangelista).
Non so il perché di quella risposta, posso solo dire che mi venne istintivo.
Se ci penso ancora adesso non ho idea del perché il professore considerò la mia risposta un errore, abbassando di un punto il mio voto e giustificando la sua scelta con il fatto che non fosse attinente alla realtà, nonostante fosse stata scritta in maniera grammaticalmente corretta.
Tanto è passato da quel compito in classe, tante case ho cambiato in questi anni e Paesi da poter dire che adesso non saprei davvero cosa rispondere a quella domanda.
Ci sono diversi dettagli però che mi suggeriscono che quella volta ero stato abbastanza lungimirante da poter sapere con qualche decennio di anticipo che avrei viaggiato attraverso mezzo mondo per ritrovare dalle parti di Città del Messico un pezzettino di casa.
C'è casa nei lunghi e larghi viali che attraversano il distretto federale, nella vita notturna della Condesa e della zona Roma, che mi riportano inevitabilmente a uno stile di night club e di pub decisamente più europei a quelli ai quali sono abituato in Ecuador, c'è casa nel calore aggressivo e umido che ho trovato in questi giorni da queste parti, certificato dalle numerose zanzare che stanno banchettando impunemente sul mio corpo per accaparrarsi il mio sangue e c'è casa in quella metropolitana così familiare al trenino sotterraneo milanese.
C'è casa in quella bandiera tricolore che sventola un po' dappertutto nel DF, praticamente identica al verde-bianco-rosso italico se non fosse per quell'aquila reale che trattiene un crotalo con il becco, simbolo della vittoria del bene sul male.

C'è casa nel sapore del cibo, che seppur così diverso dalla "comida" con la quale sono cresciuto ha un punto in comune che qui è come un cult: il piccante, tanto caro ai miei parenti siculi.
Il piccante è un modo per colpire il palato così forte da rendere indimenticabile ciò che si mangia, come se la bocca fosse sottoposta a una tale lotta di gusti da rendere gli altri sapori solo un sottofondo. Il piccante è dappertutto: dalla birra, al cioccolato alle quesadillas e i tacos (una vera e propria droga legalizzata).
Il piccante è come qualcuno che a prima vista ci aggredisce per metterci alla prova. Il primo morso ai tacos con chili può essere traumatico, ma già dal secondo in poi la bocca inizia a godere del sapore forte senza sognare fonti di acqua gelata per alleviare il dolore.
Città del Messico (o più semplicemente come la chiamano i chilangos "el D.F."), luogo dove i taxi sembrano Big Babol con le ruote, è una città costruita sulle ceneri di Tenochtitlàn, un luogo circondato da un lago nel quale Hernan Cortes ebbe la meglio sugli Aztechi dopo una sanguinosa battaglia, vinta grazie all'uso di armi moderne rispetto a quelle possedute da Montezuma II, l'imperatore atzeco dell'epoca.

Più giro per il centro storico, più attraverso i quartieri più rappresentativi del Distrito Federal, più assaggio la comida tipica, più mi perdo nei musei e nei palazzi artistici che raccontano nei dipinti e nei reperti la storia messicana e più mi rendo conto che voglio indietro quel punto tolto ingiustamente, perché ognuno dovrebbe essere libero di decidere la sua provenienza solo dopo che ha visto abbastanza il mondo da poter decidere dove starebbero bene le sue radici.
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