ECUADOR, Sulla sponda del fiume mi sono seduto e ho pensato
Vagando fino alla sponda di uno dei quattro fiumi di Cuenca si possono trovare cose interessanti, fare conoscenze inaspettate o assistere a vecchie indigene che lavano e mettono ad asciugare i loro panni a poche centinaia di metri da dove il rio incrocia il proprio cammino con un affollato viale principale, animato dal traffico incessante a causa della costruzione di una nuova linea tranviaria.
Vengo spesso a sedermi da queste parti, quando il peso dei pensieri che si accumulano nella mia mente diventa insostenibile. L'acqua del fiume che scorre perennemente mi riporta in una condizione di fluidità nella quale cerco di far convergere la massa di pensieri, pesante quasi al punto da farmi venire un'emicrania.
Per arrivare al rio nel quale sono seduto in questo momento ho attraversato una strada particolarmente trafficata e
man mano che mi avvicinavo al fiume il rombo dell'acqua che scorre
sostituiva il suono dei martelli pneumatici, dei tubi di scappamento e
del concerto generato dai clacson.
Non sono più sulla riva di un fiume. In un attimo sono in Italia, in una città nascosta tra gli appennini, poi a Hollywood davanti a un'enorme scritta di plastica su una montagna, simbolo del cinema americano, poi nei sobborghi notturni di una capitale latina nota per la sua pericolosità, poi davanti a una città Inca meta di milioni di persone da ogni lato del mondo, poi ancora in Italia in una casa su due piani che un tempo era un'ottoneria.
"Torna in te Ale", mi dico, perché stai perdendo l'unica cosa che esiste davvero, vale a dire quello che sta succedendo in questo esatto momento. Torno al fiume con la testa, perché é lì che sono seduto e mi rendo conto che l'acqua ha cambiato colore a causa del sole che ha fatto capolino dalle nuvole.
Sono di nuovo via con la mente, ma mi prometto di tornare in pochi secondi. Ho bisogno di un'immagine da recuperare negli archivi del mio cervello per poter tornare in tempo presente e rimanerci: è quella di un senzatetto seduto sul marciapiedi della statale davanti a un incrocio principale. Un senzatetto che passa il suo tempo a chiedere l'elemosina scrutando tutte le centinaia di veicoli che dalla mattina alla sera attraversano lo snodo stradale prima di sparire in lontananza.
La mia mente è quell'incrocio e le automobili non sono altro che i pensieri, i ricordi. Per far si che fluiscano non bisogna fare altro che non si intasi il traffico. A volte siamo quel senzatetto con i nostri pensieri che, invece di guardarli arrivare, fermarsi qualche secondo e ripartire, si mette in mezzo alla carreggiata per bloccarli e chiedergli spiegazioni sulla sua attuale condizione miserabile o, nel peggiore dei casi, sale su uno di quei veicoli per farsi un giro.
Non è forse quello che facciamo noi quando ci lasciamo trascinare dai circuiti mentali generati da un ricordo, un rimpianto, un'idea, al punto che non riusciamo più a uscirne e non ci rendiamo neppure conto di quello che ci sta succedendo intorno?
È vero, alcuni ricordi che ripassano su quella strada sono ingombranti come camion autoarticolati, e magari ci mettono molto più tempo ad attraversare l'incrocio a causa della loro lentezza, ma è giusto che percorrano il loro cammino e che liberino la carreggiata o sarà inevitabilmente impossibile far scorrere il traffico senza intasare tutto.
Noi dovremmo essere quel senzatetto fermo a vedere tutto quello che gli passa intorno anche se molto spesso ci mettiamo in mezzo alla carreggiata, saliamo su uno di quei veicoli che si fermano all'incrocio e dopo un po' pensiamo di diventare noi gli autisti, perdendoci nel traffico azionato da tutti i nostri stessi ricordi.
Il segreto quindi è guardare, lasciare andare quello che ci passa vicino, osservarlo ma non afferrarlo, perché non appartiene a noi anche se siamo noi che l'abbiamo causato e lasciare che vada via con la stessa naturalezza con la quale è arrivato.
Sono tornato sulla riva del fiume, anche se fisicamente non sono mai andato via, ma mi guardo intorno come se il mio personalissimo incrocio mentale avesse finalmente smaltito il suo traffico dell'ora di punta e quel peso che stava per causarmi un'emicrania fosse sparito completamente.
Sono di nuovo qui, con l'acqua a pochi metri da me che scorre senza impedimenti, con l'odore delicato dell'erba che confina con il letto del fiume, con una fanciulla seduta a pochi passi da me che da almeno un minuto è intenta a guardarmi.
Con la mente proiettata totalmente da un'altra parte non mi ero neppure accorto della sua presenza e del suo sguardo sorridente fisso su di me.
Adesso però è come se mi fossi risvegliato da un lungo sonno e il sogno perdesse via via la sua consistenza fino a dimenticarmi di esso.
La fanciulla misteriosa si volta dall'altro lato, aspettando che sia io questa volta a cercarla con lo sguardo e quando questo avviene non posso fare altro che avvicinarmi a lei e iniziare a parlarle come se già la conoscessi. Lei è bellissima, con il taglio degli occhi lievemente orientale, il sorriso bianchissimo e la freschezza dei vent'anni addosso.
È come un angelo, che mi stava aspettando proprio lì in quel momento e che stavo ignorando totalmente a causa di tutti i pensieri e i ricordi che si erano accumulati nel mio cervello, che avevano intasato il mio incrocio al punto da chiedere l'intervento di un vigile e che mi stavano portando dovunque con la mente, tranne dove avrei dovuto stare davvero.
Qui. E ora.
Continua...
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