PERÙ - Tappa obbligata a Cusco
Il teletrasporto potrebbe essere l'invenzione più inutile e controproducente per un essere umano. Toglierebbe tutto quello che di buono c'è tra la partenza e l'arrivo durante un viaggio, comprese le cose apparentemente più scomode. Come la levataccia per accaparrarsi un posto, un venditore ambulante che sale sull'autobus per propinare ogni tipo di diavoleria (compresa una polverina miracolosa per sbloccare gli stitici, vi lascio immaginare un tranquillo signorotto che parla di merda per un'ora filata), l'odore del cuoio nei veicoli più datati, quello dei piedi altrui (e non solo altrui) dei vicini di posto che tolgono le scarpe al sapore di pecorino abbandonato in frigorifero e un altro ancora più acre dei polli appena macellati trasportati in fagotti dalle proverbiali donne andine; il ritardo che si accumula, che accresce l'aspettativa, il sudore che minuto dopo minuto si fa copioso e gli indumenti che diventano un tutt'uno con la pelle viva.

Cusco deriva dal quechua Qusqu, che significa centro, cintura, ombelico. Secondo quanto affermavano gli Inca, a Cusco conferivano il mondo degli inferi, il mondo visibile e il mondo superiore. Per questa ragione la città sorta su quel territorio fu chiamata Ombelico del mondo.

Costruita a 3400 metri slm, obbliga quasi tutti quelli che arrivano da quelle parti a confrontarsi con un calo di pressione, nausea e iperventilazione momentanea, arginate con un caratteristico the a base di coca che con le sue proprietà ristabilisce completamente l'organismo ed elimina il fastidio.
Esattamente quello che ha fatto il buon
Juan Carlos, un quarantenne abitante di Cusco che mi ha accolto nella
sua umile dimora che condivide con madre e sorella. Juanca è un
cittadino del mondo, parla un ottimo inglese frutto dei suoi continui
spostamenti a cavallo tra America ed Europa, ma inaspettatamente sono io ad essere
il primo viaggiatore che ospita.
I patti erano di stabilirmi da lui un
solo giorno, dato che avevo preso accordi anche con una seconda persona,
in realtà starò da lui una settimana intera, intervallata dai tre
giorni di escursione a Machu Picchu. Juanca è un biologo di professione e
mi svela un laboratorio sotterraneo fatto di ogni tipo di specie di
piccoli rettili perfettamente conservati per essere analizzati.
La maggior parte dei consumatori mastica le foglie per estrarre la materia prima in esse contenuta, anche se più correttamente dovrebbero venir mescolate in bocca con la saliva fino a formare una pallina da succhiare per una trentina di minuti.

Da parte mia lo stupore rimane lo
stesso, soprattutto dopo una visita al museo della coca in centro città,
nel quale è spiegato tutto il processo per trasformare le foglie in
cocaina vera e propria, ma mi rendo conto di quanto sia normale l'utilizzo dopo la prima volta su un autobus a fianco dell'autista che mangiava foglie in continuazione e che già presentava il caratteristico rigonfiamento su una guancia.
Cusco non è però solo coca. Tutt'altro. Il suo centro storico trasporta i suoi avventori in un'altra epoca, mescolando armoniosamente i sapori della ricca cucina andina che provengono dai numerosi ristoranti e l'odore tipico della legna bruciata di una città di montagna. Come tutte le città peruviane e in uno stile che avevo visto solo in Venezuela, anche Cusco presenta la sua Plaza del Armas, snodo principale e sede della cattedrale della città.


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