Israele-Palestina, una partita che non vince nessuno


Non c’è più l’ignorante: c’è una categoria ancora peggiore: quello che pensa di sapere, che pensa che bastino un paio di copia-incolla per essere un esperto conoscitore delle dinamiche di guerra in Medio Oriente.
Una foto sul profilo di Facebook contro le bombe, un indignato insulto a chi piange per una partita di calcio a fronte dei bambini che muoiono, una foto dell’ennesima fiaccolata pro-Gaza che non cambierà assolutamente nulla ma che fa sentire a posto con la coscienza e un repentino riposizionamento dalla parte dei buoni perché tutti sono contro la guerra. Tutti? Se lo fossero davvero tutti non ce ne sarebbe neppure una in giro per il mondo, ma la guerra fa comodo a molti e questi molti non sono sempre i famigerati lobbisti e potenti, rappresentati grottescamente come duri, puri e senza un cuore che gli batte sul petto.
Il vero complice della guerra non è colui che va a combatterla in prima persona, ne colui che la ordina: il primo è solo l’ennesima vittima dimenticata dopo che è tornata in patria avvolta in una bandiera e il secondo un carnefice che è tale proprio perché le vittime gli si offrono con lassismo e indifferenza.
I complici veri sono esattamente quelli che dicono di esserne contro: che pubblicano una foto con il viso sanguinante di un bambino per ricevere una manciata di likes in più e poi mangiano e bevono prodotti che provengono indirettamente da zone di guerra. Che commemorano la Shoah con le loro frasi di circostanza, legittimando così morti di serie A e morti di serie B, ben sapendo che il sangue scorre per tutti alla stessa maniera.
Palestina e Israele con la loro guerra insulsa sono l’ennesimo specchio di una società basata sulla prevaricazione. Se loro usano armi che distruggono scuole e orfanotrofi spacciandoli per pericolosi obiettivi militari, il nuovo “consapevole con la consapevolezza degli altri” prende quattro informazioni qua e là per poter averla vinta su un fantomatico interlocutore virtuale su un blog, che ovviamente non conosce e proprio per questo attacca senza nessuna paura dall’alto della sua tastiera.
Dice Galeano: «Dal 1948, i palestinesi vivono condannati a un’umiliazione perpetua. Non possono nemmeno respirare senza permesso. Hanno perso la loro patria, le loro terre, la loro acqua, la loro libertà il loro tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere i loro governanti. Quando votano chi non devono votare vengono puniti.»
Questo li autorizza a rispondere con il fuoco a un’aggressione e a un’invasione legalizzata? Forse sì, o forse li rende esattamente come i loro invasori, giustificando così altre continue ritorsioni.
Se qualcuno mi ferisce io mi sento in diritto di ferirlo a mia volta per restituirgli il favore ma in realtà ho appena accettato di diventare come lui.
Adesso è troppo facile stare dalla parte dei palestinesi, quando per anni e anni la Palestina è stata per molti sinonimo di terrorismo e le invasioni israeliane altro non erano che un pegno che qualcuno doveva pagare per quello che avevano subito nella seconda guerra mondiale.
Adesso che un genocidio ha provocato e sta provocando un altro genocidio ancora peggiore con il beneplacito di tutti che cosa abbiamo risolto se non andare incontro a una nuova vendetta futura dei pro-palestinesi contro i cattivi israeliani? Occhio per occhio ci ridurrà entrambi ciechi ho sentito dire da qualche parte.
Come si fa però a evitare questo massacro senza diventare carnefici a nostra volta? La guerra non ha mai risolto un’altra guerra, solo provocato più danni e vittime.
L’esperienza e la vita piano piano mi stanno insegnando che se si vuole impedire a un’automobile che inquina le strade di farci respirare fumo nero ci sono diversi modi per fermarla:
si può prenderla a martellate, distruggendola del tutto e trasformando il conducente in un assassino pronto a fare lo stesso con qualcosa di nostro;
si può uccidere il conducente: ne avremmo il sacrosanto diritto e qualcuno piangerà la nostra dipartita quando qualcuno avrà fatto esattamente lo stesso con noi;
Si può semplicemente boicottarla, fargli un buco minuscolo nel serbatoio e fargli perdere piano piano subdolamente tutto il carburante e quando il conducente rimarrà a piedi in mezzo a un’autostrada buia imprecherà contro Dio, contro il destino, contro il Governo ladro ma non potrà prendersela con nessuno e imparerà a muoversi in un altro modo.
In parole povere? L’informazione, i dati, le testimonianze, anche e soprattutto di persone che nella Striscia di Gaza ci sono cresciute prima di essere costrette a emigrare ad esempio in Venezuela, possono dare un quadro ampio della vicenda e anche l’unica arma che può combattere questo scempio senza far scorrere ulteriore sangue: la ragione.
Del resto due ignoranti si fanno la guerra per far valere le proprie convinzioni, mentre due consapevoli non possono far altro che buttare le armi a terra e fare l’amore.
Vivo in un paese, la Colombia, che ancora oggi fa i conti con una guerra interna nelle zone rurali per il controllo dei territori di coltivazione della coca. La guerra continua da anni sicuramente perché c’è una disputa territoriale, ma anche e soprattutto per l’indifferenza delle persone che hanno semplicemente allargato le braccia davanti a qualcosa di più grande di loro. Lo stato però ha istituito un Centro di Memoria Storica, per ricostruire con testimonianze e informazioni mezzo secolo di guerra e istruire la popolazione perché sappia le vere ragioni e perché possa farsi un’idea più precisa. Questo non fermerà le bombe dall’oggi al domani, ma farà si che le persone appoggeranno i più deboli con azioni concrete, boicottando i più forti senza cercare di combatterli inutilmente con le stesse armi, oppure farà si che si gireranno dall’altra parte facendo finta che sia una cosa che non le riguardi, continuando a lavarsi la coscienza con una fiaccolata che sembra sempre più la giornata dell’odio orwelliano dove sfogare la propria rabbia o un’altra foto ad effetto per i poveri bambini morti ammazzati ai quali nessuno dà importanza perché c’è la finale del mondiale.
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