Un anno dopo
Un anno non è nient’altro che un
giretto della Terra intorno al Sole. Se lo si guarda da un punto di vista così
globale, ci si può rendere conto di quanto non sia nulla, paragonandolo
all’universo cosmico. È sufficiente però per smuovere cisterne di acqua sotto i
ponti e a ribaltare l’universo di una persona come un calzino in una lavatrice.
Certe cose non cambiano affatto in
un anno.
Certe cose cambiano anche troppo.
Alla stazione Lambrate di Milano,
dopo l’ennesimo annuncio che termina con «Ci
scusiamo per il ritardo», una persona appena tornata in Italia dopo quasi
un anno può dubitare di essere mai partita.
Certe cose non cambiano affatto in
un anno.
Al Quirinale, un vecchio di 38 anni
che giura per il suo nuovo governo senza il voto popolare, diventando il terzo
presidente catapultato dall’alto e l’ennesimo impresentabile, fa pensare alla
stessa persona di prima che in realtà siano passati già cinque anni dall'ultima volta che ha messo piede sul suolo italiano.
Non nello Stivale
però, dove i governi sono di scopo, di scopa, balneari, invernali, con gli
occhiali da sole, di servizio ma mai politici e mai durano quanto dovrebbero.
Certe cose cambiano anche troppo.
Davvero?
In questo caso cambiano troppo per
non cambiare veramente.
Fine della parentesi politica.
Tornare dopo un anno che comprende
un viaggio senza fissa dimora di sei mesi e altri cinque mesi in una città in
mezzo alla Cordigliera delle Ande è rendersi conto che il ritorno è
fisiologico, rende il giusto riconoscimento a quello che si è fatto, aiuta a
focalizzare bene la moltitudine di luoghi visitati, i sapori gustati, gli odori
respirati e le persone conosciute, come se si avesse un mappamondo stabilmente
aperto e srotolato davanti a sé.
Un mappamondo che è paragonabile
alla cartina di una grande città per un provinciale appena trasferito dalla
campagna.
Il ritorno è parte integrante del
viaggio stesso: ha lo stesso sapore del traguardo per un corridore, la stessa
tumultuosa energia che un pellegrino rilascia quando entra a Santiago de
Compostela dopo il suo Cammino. Stabilisce quanto ci si possa mettere alla
prova e fin dove ci si possa spingere rispetto ai propri limiti e alle proprie
paure, perché il viaggio successivo sia ancora più emozionante, a prescindere
da dove si vada a poggiare la propria bandierina.
E poi?
Poi si torna dopo un altro anno a
respirare la stessa aria di casa con alcune persone e il senso di inquietudine
con altre, pari alla sensazione del binario vuoto con un treno appena partito e
del quale si possono vedere solo l’ultimo vagone in lontananza e le luci
posteriori.
Lo stesso filo rimasto connesso con
altre persone, che ha sopportato la tempesta della lontananza, si è allentato
ma ha resistito e un altro filo che magari sembrava più resistente e si è
staccato al primo soffio di vento.
Un anno sono 365 giorni, 8760 ore o
525600 minuti. Può sembrare un’eternità o un battito d’ali di un colibrì.
La cosa più importante è sempre poterlo
raccontare, di ritorno da un viaggio in giro per il mondo o passato nel cortile di casa propria.
Ps: questo blog dopo un anno esatto dall'arrivo a Cuba si prende un piccolo e meritato periodo di riposo. Ci si risente fra un po' da qualche parte nel mondo.
Ale Cona
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