Il Futuro è passato e il Passato è prossimo
Mi suona sempre un po’ strano parlare di futuro, quando la
visione più futuristica che mi si addice in questo momento non arriva alla
prossima estate. Colpa di un viaggio lungo più di sei mesi che mi ha riportato
in tempo presente mentalmente, con il fine di godermelo e smettere di pensare
inutilmente a futuri lontani, che hanno l’arma a doppio taglio di creare
aspettative, che il più delle volte possono deludere.
Pensare agli anni che verranno però è inevitabile e allo
stesso tempo affascinante e, proiettandomi in un prossimo futuro, mi immagino un
inevitabile ritorno all’essenza delle relazioni umane, sfruttando finalmente la tecnologia
come mezzo e non come scopo.
Da un lato potrei risultare fuori dal tempo o
antistorico e più che un’opinione il mio è un auspicio, considerando che quello
che succede ai nostri tempi è proprio il contrario: si partecipa a una festa
per poter scattare una foto e postarla su Facebook, che ormai ha trasformato tutti in
orde di cinesi e giapponesi in vacanza con la loro macchina fotografica.
Questo auspicio
mi ha portato a decidere di chiudere a breve questo canale relazionale al
quale, ammetto, ero anche piuttosto affezionato.
Diversi amici privatamente mi hanno già espresso il loro
disappunto, facendomi notare come, nonostante tutto, il social di Zuckerberg sia comodo per non perdere di vista
le conoscenze, soprattutto quando si vive lontano da loro.
Facebook però per me è diventato come la televisione quando ho deciso
di darci un taglio: la tivù, almeno ai tempi in cui era ancora nel mio salotto
e forse adesso ancora di più, ingloba, attira e ha la stessa funzione di un
amico che piomba in casa di qualcuno nel momento in cui ha deciso di mettersi a
studiare o fare qualcosa di importante. Finirà per distrarlo a meno di non
farlo tornare in un altro momento, ma lui è così. Quando si ha bisogno di lui
non c’è mai.
La tivù può essere paragonata a lui: a chi non è capitato
almeno una volta, prima dell’avvento delle tv con 500 canali e film pay per
view, di avere il piacere di sedersi a vedere qualcosa di interessante e nei
canali principali c’erano solo minchiate?
In molti dicono che dopo una giornata lavorativa e tanti
bocconi amari da mandare giù, un po’ di svago sia salutare e anche un gioco
interattivo su Facebook o il curiosare morbosamente negli aggiornamenti altrui possano essere
un toccasana.
Magari lavorando sulla qualità della vita lavorativa, che
può essere più accattivante di un do ut des, dove il fine viene scambiato con
il mezzo (il denaro e neanche molto), si avrà meno bisogno di uno svago che ha
le stesse fattezze dell’ora d’aria per un carcerato.
Come un carcerato che invidia chi ha la libertà, egli
invidia coloro che hanno raggiunto uno status di celebrità, tale da voler ottenere
almeno il peggio da essa, vale a dire mettere in piazza anche momenti che
normalmente sarebbero di privacy e poi lamentarsi del fatto che Facebook controlli le persone e venda le
loro abitudini ai pubblicitari. Questo è il classico gioco nel quale a
posizionare la palla sul dischetto sono gli stessi utenti, lamentandosi poi del
fatto che incassino il goal.
Immaginiamo Facebook come una tivù accesa in un salotto mentre si sta
lavorando. I casi sono due: o si getta dalla finestra o si finirà per guardare
quello che trasmette, ritrovandosi dopo due ore a non aver fatto nulla di
quello che si voleva fare.
Mancanza di forza d’animo nel tenerla spenta e accenderla
quando è opportuno? Sarà, ma non ho mai criminalizzato le tentazioni. Se una
cosa diventa controproducente nella giornata di qualcuno o la si elimina o essa
poco a poco risucchierà il suo tempo.
Per fare un’ulteriore metafora, Facebook può essere come un viale affollato
in centro città: ci si può passare e incontrare per caso qualcuno che si conosce,
iniziando a conversare con lui. Ecco: quello che FB può diventare in casi come
questi è lo stesso viale affollato dove chi arriva si ferma ore fino a quando
non ha incontrato qualcuno, dimenticandosi dopo un po’ dove stava andando prima
di imbattersi in quella folla.
Quando anni fa ho chiuso con la tv pensavo: “E adesso
come farò a informarmi senza tg e approfondimenti?” Non mi sono mai sentito informato
come da quando l’ho spenta.
Esattamente come allora, adesso in molti mi chiedono: “Come
farai a tenerti in contatto con tutti adesso? Dai, non fare l’antistorico,
l’anacronistico!”
La risposta è abbastanza semplice: come ho sempre fatto e
quindi senza l’illusione di avere tutti a portata di mano e avendoli invece a
portata di mente, dato che il fatto di non vedere o non sentire qualcuno non
significa non comunicarci.
Tempo fa ho preso parte a un’iniziativa interessante
chiamata Momentismo, che consiste nello scegliere un breve lasso di tempo insieme a un
gruppo di persone sparse in giro per il mondo e descrivere nei dettagli quello
che succede all’interno di quei minuti, senza velleità letterarie, solo con la
voglia di descriverlo in modo che gli altri lo possano vivere.
L’ho fatto con
persone che praticamente non sento quasi mai e con altre che erano del tutto
sconosciute: nel leggere i loro “momenti”, ho avuto proprio la sensazione di
essere lì con loro, distruggendo barriere spazio temporali e accettando come la
cosa più naturale del mondo il fatto che il nostro rapporto sia su un piano
superiore a quello della comunicazione verbale e di come non abbia bisogno
della legna per far ardere una fiamma.
D’altronde se si ha bisogno di trovare il nome di qualcuno
online su Facebook per aver voglia di scrivergli, significa che non c’è tutta
questa voglia in realtà.
Quando il nome
di qualcuno è inciso nella mente non esiste la necessità di doverlo leggere da
qualche parte per ricordarsi quanto gli si voglia bene, quanto sia importante e
quanto si abbia voglia di comunicare con lui.
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