ECUADOR, Ultima fermata: (?) Cuenca
Per scrivere al meglio questo post, farò uno spudorato riferimento al mio fumetto preferito, vale a dire Dylan Dog. Per coloro che non lo sanno, del fumetto più venduto in Italia dopo Tex, è già stata scritta la fine cronologica qualcosa come 18 anni fa. Veniva pubblicato un episodio dove il protagonista della serie ritrovava le proprie origini, dopo aver finito il suo proverbiale modellino di galeone. Da allora, togliendo alle frotte di lettori la classica sorpresa finale, si era dato di conseguenza molto più valore al cammino stesso che da allora l'Indagatore dell'incubo avesse intrapreso, anche se si sapeva già come sarebbe andata a finire.
Per quel che mi riguarda, il mio personalissimo galeone è finito da un pezzo, finito inciso per sempre nelle mie costole grazie al tatuaggio di un cileno.
Ora: dopo quasi tre settimane a Cuenca, questa splendida città della zona a sud dell'Ecuador, ho come la sensazione di aver trovato, se non la fine della storia, quanto meno la fine del percorso che ho intrapreso sette mesi fa partendo dall'aeroporto dell'Avana.
Questo non significa necessariamente fermarsi, anche se gli indicatori sono quelli, ma considerare il resto dell'eventuale cammino successivo come un percorso che inevitabilmente mi riporterà da queste parti. Non ha importanza quando avverrà, non ha importanza se passeranno mesi o anni prima del mio ritorno qui, come non ha importanza se da qui non riuscirò più ad andare via.
Quando un'amica che vive qui ha paragonato Cuenca a Bologna, sapevo che lo aveva fatto più per l'atmosfera universitaria e frikkettona che si respira da queste parti, che non per un'effettiva somiglianza con la città delle due Torri. Bologna è la città nella quale avrei voluto sempre vivere, ma per un motivo o per un altro non ce l'ho mai fatta.
Ricordo poco della prima volta che ci sono capitato: avevo 16 anni ed ero in gita scolastica di un solo giorno con le scuole superiori. Quello che mi ricordo bene è che l'autobus che ritornava a casa dovette aspettare due ore il mio ritorno al terminal, dato che di me avevo fatto perdere le tracce. Ero stato stregato da quella città viva, giovane, sviluppata ma con il sapore antico che i suoi portici e le sue viuzze mi trasmettevano.
Bene, queste sensazioni sono tornate, dopo 16 anni esatti, dal momento in cui ho messo piede per la prima volta in questa città sudamericana. Stessa grandezza più o meno, stesso brulicare di studenti universitari che rendono vivace una città nascosta dalle Ande ecuadoriane, stessa promiscuità di culture, frutto dei tanti latini ed europei che preferiscono venire a studiare o a vivere qui per via del clima sempre temperato e dell'atmosfera elettrizzante.
Cuenca è anche l'ultima fermata per molti gringos statunitensi che, dopo una vita sotto la bandiera a stelle e strisce, decidono di passare gli anni della pensione in questo luogo così movimentato ma così pieno di natura intorno a sè (Va a finire, tornando a Dylan Dog, che da queste parti ci troverò l'Ispettore Bloch neo pensionato). Sentirli provare a parlare lo spagnolo con il loro accento americano è un divertimento assicurato.
Cuenca è inoltre la città dell'Ecuador con più alto tasso di emigranti proprio negli Stati Uniti, segno che qui non solo si arriva, ma si parte con un bagaglio carico di buone intenzioni, come dimostra una piccola cappella con una Vergine protettrice dei viaggiatori, con al suo fianco decine e decine di targhe di ringraziamento delle famiglie, per l'arrivo sani e salvi in terra yankee dei familiari e concittadini.
Cuenca non è ovviamente il primo posto dove mi sarei fermato a vivere in questi 7 mesi, ma è il primo da questa parte del mondo dove sento in qualche modo di averlo fatto veramente (nonostante un mese e mezzo a Quito), dove tutto sembra familiare e dove ci si riesce ad ambientare quasi senza nemmeno rendersene conto.
Ci sono altri luoghi in questo continente meraviglioso dove andrò a mettere il becco, di questo ne sono certo, come altre città e stati e viaggi intorno al mondo che ancora mi aspettano.
Adesso però ho una piccola certezza in più. La strada, per quanto ignota, dritta o tortuosa che sarà, mi riporterà da queste parti.
Non so quando.
Non so fino a quando quello che credo possa diventare l'ultimo capitolo di questo viaggio sarà sempre una pagina più in là dei prossimi capitoli a venire.
Per ora farò finta di non aver mai scritto questo post e negherò spudoratamente che queste parole siano state frutto della mia mente stile Edward Mani di Forbice (cit. Marcello Puddu).
Sempre
che da questa città io riesca davvero ad andarmene.
Commenti