ECUADOR, Esmeraldas, la bellezza viene dalla gente
Esmeraldas è il primo capoluogo dell'Ecuador dove facciamo tappa per più di una settimana.
L'Ecuador è il primo dei quattro paesi visitati nel quale non arriviamo dritti dritti alla capitale e l'impatto senza dubbio è stato per certi versi più veritiero dei precedenti. Quito ed Esmeraldas infatti non sono lontanissime geograficamente ma molto divise dal punto di vista politico-etnico.
Le quattro parti diverse del paese mettono a nudo il regionalismo molto forte che le caratterizzano.
Ande, Isole, Costa e Amazzonia sono come quattro vicini di casa che comunicano tra di loro solamente perché qualcuno glielo impone. Questo è perlomeno quello che viene fuori da più di una testimonianza degli esmeraldegni. Secondo loro un costegno non potrebbe vivere sulle Ande o tantomeno a Quito, dove verrebbe vessato per il colore della sua pelle e per la sua provenienza.
La delizia dell'Ecuador sembrerebbe essere anche la sua croce.
Parlando con chi a Quito ci vive ascolto qualche testimonianza agli antipodi, che mi sottolinea come tutto il provincialismo venga in gran parte proprio dalle popolazioni della costa che si sentono dimenticate dal governo.
Da queste parti Correa non piace. E' un uomo troppo accentratore che ha fatto fuori politicamente chiunque non la pensasse come lui poco dopo aver usufruito del suo aiuto per arrivare al potere.
Qui le persone si arrabattano come possono con 300 dollari mensili di stipendio, sufficiente per i beni primari e i trasporti ma poca roba per tutto il resto, che fa la muffa sugli scaffali aspettando qualche turista che se ne accaparri.
Esmeraldas è il capoluogo della provincia dove vive la comunità afro-discendente più grande di tutto il paese. Basta uscire dalle mura della città costruita sull'estuario del Rio Esmeraldas per rendersi conto di come cambiano i volti delle persone e di come acquisiscano tratti più andini e europei. La casa dove Clemente e Sonia ci ospitano come se fossimo loro figli è situata nel barrio Collettivo a poche centinaia di metri dal porto.
La città esmeraldegna non è certo il luogo più bello che abbiamo visitato in questi mesi.
Case fatiscenti, strade non asfaltate, qualche elemosinante, anche in tenera età, in strada (non al livello della Colombia) e acqua del mare contaminata per via della raffineria situata nella periferia della città.
Esmeraldas non è un luogo turistico e neppure ha la pretesa di diventarlo. Non ha salotti buoni nei quali accogliere chi viene da fuori nè polvere da nascondere sotto i tappeti.
La polvere che si vede per le strade cittadine è palese, la pulizia della città approssimativa.
L'acqua corrente va e viene (più va che viene), ricordandomi le pene che ancora ai giorni d'oggi soffrono alcune cittadine della Sicilia.
E' in luoghi come questi però che vivono persone che degnamente mandano avanti una famiglia con i lavori più umili. Persone che svegliano all'improvviso qualcuno per portarlo orgogliosamente nella fattoria di famiglia, perché si renda conto che intorno alla brutta Esmeraldas ci sono piccole comunità di contadini come Sàlima che sembrano appartenere a un'altra era. Persone che hanno sacrificato la loro vita e tutto quello che avevano per permettere ai figli di mandare avanti gli studi e avere al contempo una vita dignitosa.
Persone come Sonia Cevallos che fanno le insegnanti del San Josè Benito Cottolengo per fare un esempio; maestre che dirigono classi di almeno 30 fanciulli in una scuola venuta su in un quartiere nel quale fino a dieci anni fa si sparava in strada e che ancora oggi nonostante tutto non è il non plus ultra della tranquillità.
L'istituto è la prova che le cose migliori la Chiesa le fa in silenzio, senza grandi annunci pubblicitari, sostentando una scuola come questa grazie alle donazioni di cittadini italiani che hanno sposato il progetto. Al Benito Cottolengo grazie a loro possono crescere in maniera normale i ragazzini che da queste parti hanno le condizioni familiari più assurde. La Madre Superiora della scuola è una donna di Brescia (è già la seconda bresciana che troviamo in Sud America :-) che quattordici anni fa è stata mandata in missione e non è più tornata in Italia. La donna ci racconta come a volte, soprattutto quando la scuola era alle prime armi, si sia dovuta fronteggiare con la microcriminalità del luogo che minacciava lei e la sua struttura.
Da queste parti due viaggiatori con la pelle bianca sono automaticamente Gringos, come se tutti i bianchi fossero statunitensi, e i venditori da strada che ci rivolgono la parola in inglese ne sono una conferma. In molti luoghi ci dicono sia meglio andare accompagnati a qualcuno del posto perché ai turisti alzano selvaggiamente i prezzi cercando di guadagnare qualcosa in più.
Esmeraldas è una cittadina anonima, senza particolari cose da vedere e da ricordare, a parte la straordinaria umanità di chi ci vive e chi ci ricorda una volta ancora quanto la vera bellezza venga dalla gente.
L'Ecuador è il primo dei quattro paesi visitati nel quale non arriviamo dritti dritti alla capitale e l'impatto senza dubbio è stato per certi versi più veritiero dei precedenti. Quito ed Esmeraldas infatti non sono lontanissime geograficamente ma molto divise dal punto di vista politico-etnico.
Le quattro parti diverse del paese mettono a nudo il regionalismo molto forte che le caratterizzano.
Ande, Isole, Costa e Amazzonia sono come quattro vicini di casa che comunicano tra di loro solamente perché qualcuno glielo impone. Questo è perlomeno quello che viene fuori da più di una testimonianza degli esmeraldegni. Secondo loro un costegno non potrebbe vivere sulle Ande o tantomeno a Quito, dove verrebbe vessato per il colore della sua pelle e per la sua provenienza.
La delizia dell'Ecuador sembrerebbe essere anche la sua croce.
Parlando con chi a Quito ci vive ascolto qualche testimonianza agli antipodi, che mi sottolinea come tutto il provincialismo venga in gran parte proprio dalle popolazioni della costa che si sentono dimenticate dal governo.
Da queste parti Correa non piace. E' un uomo troppo accentratore che ha fatto fuori politicamente chiunque non la pensasse come lui poco dopo aver usufruito del suo aiuto per arrivare al potere.
Qui le persone si arrabattano come possono con 300 dollari mensili di stipendio, sufficiente per i beni primari e i trasporti ma poca roba per tutto il resto, che fa la muffa sugli scaffali aspettando qualche turista che se ne accaparri.
Esmeraldas è il capoluogo della provincia dove vive la comunità afro-discendente più grande di tutto il paese. Basta uscire dalle mura della città costruita sull'estuario del Rio Esmeraldas per rendersi conto di come cambiano i volti delle persone e di come acquisiscano tratti più andini e europei. La casa dove Clemente e Sonia ci ospitano come se fossimo loro figli è situata nel barrio Collettivo a poche centinaia di metri dal porto.
La città esmeraldegna non è certo il luogo più bello che abbiamo visitato in questi mesi.
Case fatiscenti, strade non asfaltate, qualche elemosinante, anche in tenera età, in strada (non al livello della Colombia) e acqua del mare contaminata per via della raffineria situata nella periferia della città.
Esmeraldas non è un luogo turistico e neppure ha la pretesa di diventarlo. Non ha salotti buoni nei quali accogliere chi viene da fuori nè polvere da nascondere sotto i tappeti.
La polvere che si vede per le strade cittadine è palese, la pulizia della città approssimativa.
L'acqua corrente va e viene (più va che viene), ricordandomi le pene che ancora ai giorni d'oggi soffrono alcune cittadine della Sicilia.
E' in luoghi come questi però che vivono persone che degnamente mandano avanti una famiglia con i lavori più umili. Persone che svegliano all'improvviso qualcuno per portarlo orgogliosamente nella fattoria di famiglia, perché si renda conto che intorno alla brutta Esmeraldas ci sono piccole comunità di contadini come Sàlima che sembrano appartenere a un'altra era. Persone che hanno sacrificato la loro vita e tutto quello che avevano per permettere ai figli di mandare avanti gli studi e avere al contempo una vita dignitosa.
Persone come Sonia Cevallos che fanno le insegnanti del San Josè Benito Cottolengo per fare un esempio; maestre che dirigono classi di almeno 30 fanciulli in una scuola venuta su in un quartiere nel quale fino a dieci anni fa si sparava in strada e che ancora oggi nonostante tutto non è il non plus ultra della tranquillità.
L'istituto è la prova che le cose migliori la Chiesa le fa in silenzio, senza grandi annunci pubblicitari, sostentando una scuola come questa grazie alle donazioni di cittadini italiani che hanno sposato il progetto. Al Benito Cottolengo grazie a loro possono crescere in maniera normale i ragazzini che da queste parti hanno le condizioni familiari più assurde. La Madre Superiora della scuola è una donna di Brescia (è già la seconda bresciana che troviamo in Sud America :-) che quattordici anni fa è stata mandata in missione e non è più tornata in Italia. La donna ci racconta come a volte, soprattutto quando la scuola era alle prime armi, si sia dovuta fronteggiare con la microcriminalità del luogo che minacciava lei e la sua struttura.
Da queste parti due viaggiatori con la pelle bianca sono automaticamente Gringos, come se tutti i bianchi fossero statunitensi, e i venditori da strada che ci rivolgono la parola in inglese ne sono una conferma. In molti luoghi ci dicono sia meglio andare accompagnati a qualcuno del posto perché ai turisti alzano selvaggiamente i prezzi cercando di guadagnare qualcosa in più.
Esmeraldas è una cittadina anonima, senza particolari cose da vedere e da ricordare, a parte la straordinaria umanità di chi ci vive e chi ci ricorda una volta ancora quanto la vera bellezza venga dalla gente.
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