21/11/21 - Esce l'audiobook di ITALIA con la splendida interpretazione di Stefania Patruno

Il gran giorno è finalmente arrivato! La versione audio di ITALIA, interpretato dalla suadente voce della celebre doppiatrice Stefania Patruno, è finalmente uscita e a disposizione di tutti coloro che la vogliono ascoltare! Questo sarà solo il preludio di un sacco di novità e iniziative legate alla sua uscita. L'audiobook è disponibile interamente su Audible, su questo sito e, nei suoi primi quattro capitoli, in podcast su Spotify. Cliccando sul link d'acquisto, riceverete l'intero file in alta qualità e su richiesta l'opera divisa nei singoli capitoli! Volete saperne di più? Non vi resta che tenere d'occhio questa pagina e i miei canali social! Saludos! AC

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Nome

Email *

Messaggio *

VENEZUELA, Una notte nel barrio di Caracas


L'appuntamento con Vladimir è alle 5 del pomeriggio a Valle Fresco, un barrio costruito tra i monti che circondano Caracas e giudicato dagli stessi venezuelani come una delle zone più pericolose di tutto il paese. A dispetto del nome balcanico, il giovane (che sembra la versione gorda di Ale Cona) è cileno e studia all'Escuela Latina Americana di Medicina. Il barrio è un quartiere venuto su in maniera del tutto improvvisata e abusiva grazie all'emigrazione di massa dei contadini che lasciavano le zone rurali per cercare fortuna nella capitale dello stato. In linea con la nostra incoscienza e l'attrazione che dopo un po' inevitabilmente si sviluppa per il pericolo, ci facciamo accompagnare da un autobus di linea preso in compagnia di un'altra studente che conosce la zona. Arrivare in un quartiere così mette ovviamente una paura che in qualche modo ci si va a cercare e faccio appello al mio fatalismo di comodo per non apparire terrorizzato. Non siamo lì per un reportage giornalistico del resto (va bene l'incoscienza ma solo un suicida si porterebbe una macchina fotografica), ma per un tatuaggio che volevo fare da anni, trovando nel cileno un'opportunità unica per non farmi svenare, considerata la grandezza del disegno. Scesi dall'autobus la prima impressione è che il pericolo si respiri in ogni viuzza che ci circonda e che sembriamo tre pesciolini che stanno andando in bocca a uno squalo bianco di loro spontanea volontà. Per fortuna troviamo subito il ragazzo che vivendo lì ha già avuto modo di ambientarsi e di fare amicizia con i malandros del quartiere e che ci guida verso casa sua, una camera situata al secondo piano di una costruzione che sembra più una discarica o un pollaio che un'abitazione. Sentiamo ovviamente gli sguardi delle persone addosso come star, anche se abbiamo l'impressione che nessuno dei presenti farà la fila per chiederci un autografo. Le cose si fanno interessanti (a seconda del punto di vista) quando finita la preparazione per realizzare il tatuaggio mi accomodo e inizio a farmi seviziare. Dopo pochi minuti infatti fanno il loro ingresso in casa due brutti ceffi che presumibilmente sono malandros amici del cileno. Mi rendo conto che il problema principale in quel momento non è il dolore al fianco scaturito dalla punta della macchinetta che affonda nella mia carne, quanto l'idea che dovrò sopportare per ore gli sberleffi e le prese per il culo di due potenziali criminali da strada, che giustamente mi danno dell'autolesionista per quello che sto facendo. Si, è vero, ci vuole autolesionismo per farsi un tatuaggio, quanto per andarlo a fare in una zona dove la maggior parte della gente che ci vive ha visto qualcuno morire con i propri occhi. I due del resto iniziano a parlare in maniera divertita di un uomo che ha appena finito di sterminare la famiglia e che poi è stato dato alle fiamme dai vicini inferociti, soprannominandolo parrilla per via della carne bruciata. Con la mia immaginazione sono già a un gruppo di criminali armati che fanno irruzione nella casa del giovane per regolare i conti con i due malandros, uccidendo tutti i presenti tranne me, graziato per poter sfoggiare un tatuaggio rimasto a metà per ovvi motivi. Sono a metà tra accettazione e divertimento quando il tatuatore mi tranquillizza, dicendo che i due ragazzi sono lavoratori che nella loro vita hanno soltanto fatto qualche furtarello qua e là come la maggior parte dei giovani del barrio quando si ritrovano senza lavoro. Posso concentrarmi così sul dolore provocato dalle punte che affondano inesorabilmente sulla mia pelle e a fare il divertito misto a tontolone con i due malandros che continuano a prendermi per i fondelli, dicendo che di lì a poco inizierò a piangere, in questo gioco di doppi sensi dove si pensa sempre al peggio. Quando cala la notte sono già rassegnato a non chiudere occhio per via degli spari di qualche banda che deve regolare i conti, mentre i due ceffi vanno via e tornano pochi minuti dopo con due panini giganti per permettermi di cenare senza interrompere il lavoro. L'atmosfera si fa per fortuna molto più distesa quando inizio a interagire con i presenti e mi rendo conto che andando oltre al pregiudizio non sono poi così male. Anche i ragazzi hanno già saggiato la mano del maldito cileno, come viene soprannominato il tatuatore, che sembra molto a suo agio con loro. Più aumenta il dolore per il tatuaggio e più diminuisce la mia paura di stare lì dentro. “Siamo tra amici”, mi dice poco prima del resto uno dei presenti, quando scorge la mia preoccupazione che io attribuisco alla paura di un'infezione nella zona tatuata. Dopo 8 ore di tortura il lavoro viene terminato. Sono distrutto, ma contento del risultato che viene riconosciuto anche dai due malandrini, con i quali ormai sono entrato in confidenza. Nonostante questo, aspetto impaziente il momento in cui si congederanno, per poter saggiare una sana notte di paura in una favela venezuelana. La notte passa in pace (per modo di dire), dormo poco, ma per il dolore al fianco e quando fa luce Vladimir accompagna me e i miei amici alla fermata dell'autobus che mi riporterà all'ELAM. C'è meno paura nella mia mente e allo stesso tempo la consapevolezza che a questo giro l'ho scampata e me la sono andata a cercare. Quando arrivo a casa mi tolgo la camicia e posso apprezzare un grosso galeone antico che fa compagnia al paracadutista tatuato sul braccio e soprannominato dagli amici TariCona. Anche lui fatto dopo qualcosa di estremo, anche lui venuto dopo un implicito avvicinamento al sottile confine  tra vita e morte. Passare un giorno e una notte in un barrio di Caracas del resto non è molto meno estremo di lanciarsi da un aereo a 4500 metri di altezza, sempre a metà tra autolesionismo puro e impellenza di emozioni forti.





Commenti