CUBA, Il miraggio
Doveva succedere prima o poi, e tanto vale che sia successo proprio a Baracoa. Come ogni serie positiva anche la nostra buena suerte con los camiones si è presa una giornata di riposo e non a caso di domenica. Come da consuetudine i tempi di permanenza in un luogo si allungano di un giorno, anche se questa volta a decidere non siamo noi, ma la protettrice dei trasporti pubblici cubani che, come dicevamo, è andata al mare piuttosto che assisterci. Senz'altro neppure lei sarà rimasta indifferente al fascino delle spiagge e dei fiumi di acqua limpidissima che fanno da cornice a questa piccola meraviglia dell'isola. Rimaniamo praticamente tutto il giorno ad aspettare invano qualcuno che ci dia uno strappo fino a Guantanamo per poter proseguire da lì diretti a Santiago de Cuba, ma sembra proprio che qualcosa dentro di noi sia in disaccordo sul fatto di ripartire da Baracoa. E' la prima volta da 22 giorni che pronunciamo la parola ritorno, anche se si tratta solo di un ritorno verso La Habana, ma ci sentiamo entrambi scarichi all'idea di dover voltare i tacchi per la prima volta da quando siamo partiti. Sembra che chiunque si fermi alla nostra parada così vada sempre verso un'altra destinazione piuttosto che Guantanamo e quelle poche automobili che vanno dalla nostra parte ci chiedono sempre cifre con le quali siamo arrivati sino a qui dalla capitale. Perdo del tutto le speranze di poter dormire a Santiago la stessa sera quando contratto con un ragazzo cubano che sembra accettare la nostra proposta di portarci a Guantanamo per 50 pesos cubani a testa, per poi ripensarci quando aveva già aperto il portabagagli inventando una scusa abbastanza banale. Si era ricordato di dover passare da altre due persone, dovendo allungare di 50 km il suo percorso e quindi la controproposta era stata di allungare la strada insieme a lui per 10 CUC a testa. Un affarista nato! Cocones!
Lo sconforto si impossessa di noi e siamo già rassegnati all'idea di tornare indietro dal nostro caro Hubert (un misto tra Over, il suo vero nome, e Homer Simpson per la sua pancia a forma di cocomero), vale a dire l'uomo che ci ha ospitato per una settimana a Baracoa, facendoci assaggiare i gamberetti in salsa di latte di cocco, qualcosa di stratosferico. Non che ci dispiaccia molto l'idea, ma non impazziamo dalla voglia di tornare da qualcuno dopo che ci siamo congedati da lui. Il tempo di pensare a come tornare in centro e spunta un miraggio. Il nostro rettore universitario preferito sta passeggiando tranquillamente da quelle parti con la figlia al seguito e si stupisce non poco a vederci ancora fermi al punto di controllo. Dopo qualche minuto si congeda, invitandoci a dormire in un'abitazione dell'università adibita a ostello per ospiti della facoltà, che sta a poche centinaia di metri da dove siamo noi. Non contento Josè insiste per invitarci a cena a casa sua, dove all'alba della terza settimana cubana vediamo il primo condominio dell'isola dal di dentro. L'atmosfera è festosa ma non chiassosa, anche se arriva musica reggaeton e salsa da più appartamenti a far da colonna sonora alla partita di baseball improvvisata dai più giovani del quartiere nel cortile dabbasso. Il professore abita in un gradevole appartamento con la moglie e i due figli e come da tradizione gli invitati cenano con il padrone di casa, posticipando la cena dei bambini e della moglie. Devo ancora capire per quale motivo non si può cenare tutti insieme appassionatamente, ma la fame mi spinge a rimandare a dopo i ragionamenti, dopo una giornata noiosa all'inverosimile che non si poteva concludere meglio grazie al nostro salvatore in mezze maniche.
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