Dopo 30 giorni cosi’ ci si puo’ sentire profondamente cambiati. La nostra percezione al ritorno nella capitale e’ quella di due cittadini cubani che tornano a casa.
Ma 30 giorni sono solo un’occhiatina.

Data con la liberta’ di chi da quest’isola meravigliosa e’ libero di andarsene. Per molti cubani che non hanno nessun contatto con il mondo esterno, l’orizzonte e’ un limite oltre il quale non si sa che cosa li aspetti e che di conseguenza si carica di illusioni, di falsi miti messi in evidenza da chi viene qui per fare di Cuba quello che si farebbe a un limone: spremerlo e gettare via la scorza. La scorza e’ pero’ la parte piu’ buona. E’ quella che restituisce il vero sapore al frutto. Tutto sta nel capire che la parte piu’ importante non e’ il lusso ostentato in un paese povero per due settimane l’anno, dopo altre 50 a prendere calci in culo nel proprio paese. Non e’ cosi’ che si conosce Cuba e tutti i suoi segreti celati nelle strade non asfaltate, nei palazzi diroccati o nelle case fatiscenti. E’ li’ che vive la gente che sogna uno shampoo come noi sogniamo uno yacht, che guarda i punti internet e si chiede se una tv non sia gia’ abbastanza in una casa per doversi piazzare davanti a un altro schermo. La gente che fa il lavoro piu’ umile del mondo con la salsa in sottofondo, che vende pizza direttamente dalla cucina di casa sua per arrotondare. La gente laureata in medicina che racconta delle missioni nei paesi piu’ disastrati del mondo con la luce negli occhi che solo la passione per il prossimo puo’ generare. La gente che ha una cultura sopraffina in qualsiasi campo la interpelli e accetta senza scomporsi la propria condizione precaria. La gente alla quale viene garantita la sopravvivenza e impedita la crescita lavorativa. E’ pero’ anche la gente che ti implora di regalargli la maglietta piu’ brutta che possiedi perche’ puo’ aiutarla a venderla e a pagarsi da mangiare con qualcosa di piu’ dei 12 CUC mensili di stipendio. E’ la gente alla quale piu’ si tolgono cose e piu’ si danno in cambio persone, umanita’, empatia, comprensione, aiuto incondizionato. E’ la gente che non conosce la cultura del sospetto, che crede davvero che Cuba sia un’unica grande famiglia intrappolata in una prigione meravigliosa per evitare che si sfaldi e che si disperda. Cuba non e’ un popolo di ignoranti facile da opprimere e da manipolare. E’ un popolo al quale si e’ cercato di inculcare che la vita la fanno le persone e non i beni materiali, che le cose hanno una loro funzione ed esaurita quella non devono servire per abbellire il paesaggio. Non mi stupisco un secondo quando all’ufficio immigrazione l’addetto ai passaporti trattiene per se la Tarjeta del Turista, senza lasciare tracce del mio passaggio qui tra le pagine dei visti. Cuba non lascia timbri. Lascia cicatrici nel cuore, quel pugno avvolto nel sangue che non si vede ma si sente e che in questo paradiso di umanita’ batte piu’ forte e piu’ veloce del normale.















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